Il calcio è l’unica passione
che accomuna gli italiani, anche perché si tratta di uno sport dove contano
poco le strategie e si può improvvisare – quello che appunto si fa sempre in
questo paese. L’italiota crede poco nella preparazione e nello studio. Essendo
cattolico, crede di più nel miracolo. Così pensa che ogni quattro anni si
possano mettere insieme undici giocatori in una squadra raffazzonata e sperare
di combinare qualcosa nei campionati del mondo, di strappare qualche gol
fortunato, di avere un colpo di fortuna. Ma, quest’anno, ciò che manca agli
italiani è lo spirito: da noi domina la depressione - economica, sociale e
morale.
Forse, per la prima volta
nella sua storia, l’Italia si rende conto della pasta di cui è fatta:
improvvisazione, corruzione e furbizia. Ma ha sbagliato i suoi conti mettendosi
insieme a gente, gli europei del nord, per cui i soliti giochetti non contano
più. Ci vuole rigore, e noi non ne abbiamo. Bisogna far quadrare e conti, e da
noi non sono mai quadrati.
Cinquant’anni fa era
esattamente come oggi: non si trovava lavoro, si sperava nella raccomandazione
e si entrava in politica per arricchirsi con pochi sforzi.
L’italiota non è cambiato: è
sempre lo stesso. Solo che si trova in un mondo nuovo, e non sa più a che santo
votarsi. Il problema è che ci vorrebbe serietà - e qua non si sa dove trovarla.
Però, esiste sempre il pallone, che, essendo tondo, rotola dove vuole, e qualche volta entra anche in rete - nella rete degli avversari.
Però, esiste sempre il pallone, che, essendo tondo, rotola dove vuole, e qualche volta entra anche in rete - nella rete degli avversari.
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