Da decenni ripetiamo che il bicameralismo
paritario è un’inutile perdita di tempo e che dovremmo cambiarlo. Ma nessuno c’è
mai riuscito: all’ultimo passo c’è sempre qualcuno che si tira indietro. È impossibile
in queste condizioni fare riforme costituzionali condivise da tutti. Troppe
sono le divergenze e le divisioni.
In attesa della riforma perfetta, continuiamo a
lamentarci e a rimanere fermi. Ricordiamo con nostalgia il 1948, quando, dopo la
guerra, tutti i partiti si unirono per scrivere la Costituzione. Però quel
momento è irripetibile, a meno di un nuova guerra…
Il motivo di tanta inconcludenza non sta in questa
o quella obiezione all’attuale riforma costituzionale, ma nell’odio politico
che avvelena l’Italia, nella faziosità dei partiti, negli interessi personali.
Ognuno ostacola l’altro.
È qui la causa della nostra inconcludenza: non
siamo un popolo unito.
L’italiota assomiglia al tizio che, per fare un
dispetto alla moglie, si tagliò i coglioni.
Così fanno gli italiani da secoli: si
intralciano a vicenda e mettono l’interesse dell’individuo o della fazione davanti
all’interesse collettivo. Inoltre sono inguaribilmente provinciali, anzi
comunali, anzi paesani.
Non a caso l’ultima riforma approvata è stata l’istituzione
delle regioni, dove gli italioti si sono ritrovati nelle loro antiche e piccole
patrie, l’una contro l’altra armata. In tempi di globalizzazione, noi ci siamo
attaccati al paesello, possibilmente al dialetto locale, quello che due
chilometri più in là non si capisce più. E le regioni si sono subito messe a
spendere, a contrapporsi e a spartirsi cariche e prebende. Ognuna vorrebbe
essere un piccolo Stato.
Ora ci sarebbe una riforma che metterebbe fine
a questo desolante e ridicolo panorama. Ma i soliti italioti si sono messi di
traverso. E, per fare un dispetto agli altri, si stanno tagliando i coglioni,
cioè il proprio futuro.